I mali del capitalismo, Fidel Castro

I mali del capitalismo

Tutto quanto è esistito fino ad oggi o esiste è stato imposto all'umanità.
Dalle leggi naturali che l'hanno fatto progredire verso la categoria di
essere pensante, fino all'origine etnica e al colore della pelle; dalla
condizione di gruppi che vagavano per i boschi raccogliendo frutti e radici,
cacciando o pescando, fino alle società capitalistiche di consumo con cui
oggi un gruppo di nazioni ricche spogliano la Terra. Il capitalismo sviluppato
e l'imperialismo moderno, la globalizzazione neoliberale, quali sistemi
di sfruttamento mondiale, sono stati imposti al mondo, così come l'importante
mancanza di principi di giustizia per secoli reclamati da pensatori e filosofi
per tutti gli esseri umani, la cui esistenza sulla Terra è ancora molto
lontana.

Nemmeno coloro che nel 1776 liberarono le 13 colonie inglese del
Nordamerica proclamando "quali evidenti verità" che tutti gli uomini nascevano
uguali e a tutti il Creatore conferiva diritti inalienabili come la vita,
la libertà e il conseguimento della felicità, furono capaci di liberare
gli schiavi, per cui la mostruosa istituzione si è prolungata per quasi
un secolo, finché, anacronistica e insostenibile, una crudele guerra l'ha
sostituita con forme più sottili e "moderne", sebbene non molto meno crudeli,
di sfruttamento e discriminazione razziale. Allo stesso modo di coloro che
sotto la divisa di libertà, uguaglianza e fraternità proclamate nel 1789
dalla Rivoluzione Francese non furono capaci di riconoscere la libertà degli
schiavi ad Haiti né l'indipendenza di questa ricca colonia di oltremare.
Inviarono invece 30 mila soldati per reprimerli, in un tentativo inutile
di sottometterli un'altra volta. Al di sopra dei desideri o degli intenti
degli uomini dell'Illustrazione, si iniziava invece una tappa coloniale
che durante secoli coinvolse l'Africa, l'Oceania e quasi tutta l'Asia, compresi
grandi paesi come l'Indonesia, l'India e la Cina. Le porte del Giappone
al commercio furono aperte con cannonate, così come oggi, anche dopo una
guerra che è costata cinquanta milioni di morti in nome della democrazia,
dell'indipendenza e della libertà dei popoli, si aprono con cannonate le
porte per la WTO e l'Accordo Multilaterale di Investimenti, per il controllo
delle risorse finanziarie mondiali, la privatizzazione di imprese delle
nazioni in sviluppo, il monopolio di brevetti e tecnologie, e la pretesa
di esigere il pagamento di debiti di trilioni di dollari impossibili da
riscuotere dai creditori e impossibili da pagare dai debitori, sempre più
affamati e lontani dai livelli di vita raggiunti da quelle che per secoli
sono state le loro metropoli e hanno venduto i loro figli come schiavi o
li hanno sfruttati fino a morire, come hanno fatto con i nativi del nostro
emisfero' Ormai il mondo non può più essere spartito perché è possessione
quasi esclusiva di quella che alla fine di questa azzardata storia si alza
come l'unica superpotenza e il più potente impero che sia mai esistito.
Basta osservare come quasi tutte le capitali del mondo tremino davanti all'ultima
parola o all'ultima dichiarazione che si pronunci o stia per essere pronunciata
a Washington. Nonostante ci sia stata l'illusione dell'esistenza dell'Organizzazione
delle Nazioni Unite, essa è stata praticamente sciolta dalla decisione imperiale
dopo il fatidico 11 settembre, appena 17 mesi fa, e il più feroce unilateralismo
ha occupato interamente il suo luogo.

In questi giorni, mentre ascoltavo
i nostri distinti relatori e invitati addurre pungenti argomenti durante
le discussioni suscitate da temi quali la crisi economica mondiale e in
particolare nell'America Latina, l'ALCA, gli attuali ostacoli allo sviluppo
dei paesi poveri, il ruolo delle politiche sociali e i fatti reali, molte
volte in dettaglio, e dall'analisi delle cause di tante e tali tragedie,
mentre ascoltavo che il PIL è aumentato o è diminuito, che c'è stata una
crescita sostenuta e poi si è interrotta, che l'aumento delle esportazioni
è l'unica via per ridurre il deficit, equilibrare i bilanci, creare impieghi,
ridurre il numero di poveri, promuovere lo sviluppo, adempiere obbligazioni.
o quando si affermava che le privatizzazioni potevano essere molto utili,
generare fiducia, attrarre investimenti a qualsiasi costo, cercare competitività,
ecc., non cessavo di ammirare la persistenza con cui da mezzo secolo ci
viene consigliato il modo di uscire dal sottosviluppo e dalla povertà. Ho
detto prima che ogni opinione è rispettabile. Ma possono esserlo anche le
molteplici questioni e domande che ci vengono in mente. In quale mondo
idilliaco stiamo vivendo? Dove sono le minime condizioni di uguaglianza
che rendano possibili le soluzioni che ci insegnano nelle scuole di economia
per lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo? Esiste forse veramente la libera
concorrenza, la parità nella disponibilità di risorse, il libero accesso
alle tecnologie pertinenti, monopolizzate da quelli che possiedono non solo
il frutto del proprio talento ma anche di quello altrui, sottratto ai paesi
meno sviluppati, senza pagare per esso neanche un centesimo a coloro che
con le proprie magre risorse lo hanno formato? In quali mani e sotto quale
controllo sono le istituzioni finanziarie internazionali e i grossi eccedenti
di fondi? Chi sono i proprietari delle grandi banche? Dove, come e chi lavano
e depositano le enormi somme derivate dalle speculazioni finanziarie, dalle
evasioni fiscali, dal commercio di droga a grande scala e i frutti delle
grandi malversazioni? Dove sono i fondi di Mobutu e di altre decine di grandi
malversatori di beni pubblici, che con il beneplacito dei tutori
occidentali consegnarono le risorse e la sovranità dei propri paesi al capitale
estero? Come, di quali vie si sono serviti e dove sono le centinaia di miliardi
di dollari evasi dall'antica URSS e dalla Russia quando i consulenti, i
tecnici, gli specialisti e gli ideologi dell'Europa e degli Stati Uniti
l'hanno guidata verso il brillante e fortunato cammino del capitalismo,
in cui un stormo di avvoltoi usciti da ogni parte si è impadronito di grande
parte delle risorse naturali ed economiche del paese? Chi renderà conto
morale del fatto che oggi la popolazione russa diminuisce e gli indici di
salute - compresi quelli di mortalità infantile e materna - sono peggiorati,e molti cittadini, tra cui anziani che lottarono contro il fascismo, soffrono
fame e povertà estrema che colpisce milioni di persone? Chi distrugge le
culture nazionali di altri popoli attraverso il monopolio dei mass media
e semina il veleno del consumismo in ogni angolo della Terra? Come giudicare
la spesa di un milione di dollari in pubblicità commerciale ogni anno, con
la quali si potrebbero risolvere i principali problemi d'istruzione, di
sanità, di mancanza d'acqua potabile e di abitazioni, di disoccupazione,
di fame e denutrizione che colpisce miliardi di persone al mondo? Si tratta
semplicemente di un problema economico e non politico ed etico?


La globalizzazione neoliberale costituisce la più svergognata riconquista del Terzo mondo.L'ALCA è l'annessione dell'America Latina agli Stati Uniti, un'unione spuria
tra parti disuguali dove il più potente inghiottirà i più deboli; Canada,
Messico e Brasile compresi. Un immorale accordo per il transito di capitali e merci, e la morte dei
"barbari" che cercano di varcare i limiti dell'impero passando dal mattatoio
della frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti. Per loro non esiste Legge
di Aggiustamento che conceda d'immediato il diritto alla residenza e all'impiego
- ignorando le violazioni e i reati commessi - , e che è stata ideata per
destabilizzare Cuba come punizione per i cambiamenti rivoluzionari avvenuti
nella nostra Patria. Devo esprimere con decisione e senza esitare, quale
rivoluzionario e combattente che crede veramente che un mondo migliore è
possibile, il criterio che la privatizzazione delle ricchezze e delle risorse
naturali di un paese a cambio di investimenti esteri costituisce un grande
crimine, ed equivale alla consegna a buon mercato, quasi gratis, dei mezzi
di vita dei popoli del Terzo Mondo, che li conduce a una nuova forma di
colonizzazione più comoda ed egoista, nella quale le spese di ordine pubblico
e altre spese essenziali, che anticamente spettavano alle metropoli, saranno
adesso a carico dei nativi. Nelle relazioni con il capitale estero, Cuba
ricorre a forme di cooperazione mutuamente vantaggiose e ben calcolate,
che non alienino la sovranità né sottomettano al capitale e al potere stranieroil controllo delle ricchezze e della vita politica, economica e culturale
del paese. Come regola non regaliamo assolutamente niente e, di fronte al
dilemma di pagare un prezzo, diamo a Cesare ciò che è di Cesare e al popolo
ciò che è del popolo. Nessuno s'inganni, siamo un paese socialista e continueremo
ad essere socialista.

E malgrado i colossali ostacoli, stiamo costruendo
una nuova società più umana, con più esperienza, entusiasmo, forza e sogni
che mai. Circola il dollaro e continua a circolare l'EURO, a queste monete
potrebbero seguirne altre per facilitare il turismo, ma circolano anche
e fondamentalmente il peso cubano e il peso cubano convertibile. La situazione
monetaria è sotto controllo. Il valore della nostra moneta nazionale si
è mantenuto stabile durante tutto l'anno 2002, qualcosa d'insolito per altri
paesi, e non c'è evasione di valute. Tra gli immensi mali che pesano su
questo emisfero - com'è ben noto - c'è il gigantesco debito estero, il cui
pagamento sia di capitali che di interessi assorbe a volte fino al 50% dei
bilanci nazionali, a scapito di servizi vitali per qualunque paese: la sanità,
l'istruzione e la previdenza sociale. Gli enormi interessi che sono costretti
a pagare i governi per i depositi nelle banche, per difendersi precariamente
dagli attacchi speculativi e dalla fuga di capitali, rendono assolutamente
impossibile ogni sviluppo con i fondi propri di qualsiasi paese. Il libero
cambio di monete imposto dal nuovo ordine economico, costituisce uno strumento
mortifero per le deboli economie dei paesi che vogliono svilupparsi. E'
da molto tempo che il denaro non è più un valore in sé, com'era nel passato,
che poteva essere custodito e sotterrato all'interno di una bottiglia come
i pezzi d'oro e d'argento. A Bretton Woods - come sanno tutti gli economisti
- gli Stati Uniti, che possedevano l'80% delle riserve mondiali d'oro, hanno
ricevuto il privilegio di svolgere il ruolo di emittente della moneta di
riserva mondiale. Ma allora, per ogni banconota che emetteva, contraeva
l'obbligo di trasformarne il valore in oro? L'obbligo è stato adempiuto
garantendo il valore della banconota mediante la stabilità del prezzo dell'oro,
utilizzando il semplice procedimento, applicato dal governo del suddetto
paese, di acquistare o vendere il metallo in quantità sufficienti quando
c'erano eccedenti o deficit del medesimo sul mercato. Questa formula è durata
fino al 1970, anno in cui un presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon,
dopo colossali spese militari e una guerra senza tasse, adottò la decisione
unilaterale di sospendere la conversione in oro della banconota statunitense.

Nessuno poteva immaginare quale colossale speculazione si sarebbe scatenata
dopo con la compravendita di monete, che attualmente raggiunge cifre siderali
di affari che superano il trilione di dollari al giorno. Per la credibilità
acquisita, per l'abitudine ad usare il dollaro come strumento di cambio
accettato da tutti, per l'enorme potere economico del paese che lo emetteva
e l'assenza di un altro strumento, il dollaro ha continuato a svolgere il
suo ruolo. Di questo privilegio non godevano né potevano godere i paesi
latinomericani e altri del Terzo Mondo. Le nostre monete sono dei semplici
pezzi di carta sul mercato internazionale. Il loro valore si limita alla
quantità di riserve in valuta estera, fondamentalmente dollari, di cui dispone
il paese. Nessuna moneta nazionale nei paese dell'America Latina e dei Caraibi
è né può essere stabile. Il loro valore reale potrebbe oggi essere equivalente
a 100, e in pochi mesi, settimane o giorni, dipendendo da fattori esterni
o interni, potrebbe essere il 50%, il 40% o il 10% del valore precedente.
Quanto è avvenuto in Argentina con l'idilliaco, utopico e folkloristico
tentativo di mantenere la parità tra il peso e il dollaro, com'era logico,
è stato disastroso; è successo altrettanto tra il real e il dollaro. Paesi
come l'Ecuador hanno finito per lanciare la propria moneta nella pattumiera,
adottando direttamente il dollaro come unica moneta di circolazione interna.
Nel Messico, come norma, ogni sei anni il cambiamento di governo cagionava
una forte svalutazione che riduceva in modo considerevole il valore della
sua moneta. Il Brasile, a partire dall'ultimo attacco speculativo e dalla
crisi del 1998, perse in appena otto settimane i quasi 40 miliardi di dollari
ottenuti con la privatizzazione di molte delle sue migliori imprese di produzionee di servizi. L'evasione di capitali è una delle peggiori forme di salasso
economico che abbiano sofferto i paesi dell'America Latina negli ultimi
decenni. Non si tratta di rimesse di guadagni ottenuti dagli investitori
stranieri, non si tratta del saccheggio che deriva dal pagamento di un debito
estero molte volte contratto da governi tirannici e corrotti che sprecarono
e malversarono i fondi ricevuti, o per assumere responsabilità derivate
da debiti privati e a volte da furti o da affari torbidi della banca privata,
nemmeno dalle crescenti perdite cagionate dal cosiddetto fenomeno dell'interscambio disuguale, si tratta di fondi creati all'interno del paese, plusvalore strappato
agli operai mal pagati, o risparmi di lavoratori intellettuali e professionisti,
o guadagni di piccole industrie, negozi e servizi. Il giogo asfissiante
che lega i paesi latinoamericani all'evasione di capitali, è il libero acquisto,
senza restrizioni né requisiti, di valuta convertibile con moneta nazionale,
formula imposta come sacro principio neoliberale dalle organizzazioni finanziarie
internazionali.

Si calcola che le suddette evasioni in alcuni paesi come
il Venezuela hanno raggiunto, in un periodo di oltre 40 anni, i 250 miliardi
di dollari circa. Si aggiungano a questa cifra i fondi nazionali che sono
evasi dall'Argentina, dal Brasile, dal Messico e dal resto dell'America
Latina. Gloria al bravo popolo venezuelano e al suo coraggioso leader, che
hanno appena stabilito il controllo sul cambio di monete con cui mettono
fine nel loro paese alla tragedia che ho riferito. Ricordo che nel 1959,
quando ha trionfato la Rivoluzione cubana, il debito estero dell'America
Latina nel suo insieme era pari a 5 miliardi di dollari soltanto. La sua
popolazione, pari a 214,4 milioni, è cresciuta fino a 543,4 milioni di abitanti
- di cui 224 milioni sono poveri e oltre 50 milioni analfabeti -, e il suo
debito fino a non meno di 800 miliardi dollari al 2003. Qual è la causa
per cui questa regione dell'emisfero non ha raggiunto nel dopoguerra uno
sviluppo come quello del Canada, Nuova Zelanda o Australia, che furono colonie
europee all'epoca meno ricche e sviluppate di noi? Non è forse dovuto al
dubbioso privilegio di essere il patio posteriore degli Stati Uniti? O
sarà perché siamo uno spregevole insieme di bianchi, negri, indios e meticci,
e quindi la negazione di ciò che hanno dimostrato le ricerche scientifiche
e gli studi sul genoma umano, cioè, che non esistono differenze riguardanti
la capacità intellettuale tra le diverse etnie che integrano la specie umana?
Qual è la colpa? Ho iniziato dicendo che tutto quanto è esistito ed esiste
è stato imposto all'umanità. Coincido pienamente con Carlo Marx, il quale
affermò che quando il sistema di produzione e di distribuzione capitalista
non esisterà più, e con esso scomparirà anche lo sfruttamento dell'uomodall'uomo, la società umana avrà superato la preistoria della nostra specie. Questo pensiero può sembrare a molti troppo semplice e distante. Marx studiò


il capitalismo nella sua prima tappa, che coincise con la nascita di una
nuova classe, chiamata a trasformare quella società, che inevitabilmente
divenne sfruttatrice e spietata, e prepararla per una nuova epoca e un mondo
giusto. Quando lui espose tali punti di vista, l'elettricità, il telefono,
i motori di combustione interna, le navi moderne di grande velocità e capacità
di carico, la chimica moderna, i prodotti sintetici, gli aerei che attraversano
l'Atlantico in poche ore con centinaia di passeggeri, la radio, la televisione,
i computer non esistevano neanche. Sfuggì quindi alla spaventosa visione
del modo irresponsabile in cui l'uomo ha utilizzato la tecnica moderna per
distruggere boschi, erodere la terra, rendere desertici centinaia di milioni
di ettari di suolo fertile, sfruttare eccessivamente e inquinare i mari,
annichilare specie vegetali e animali, avvelenare l'acqua potabile e l'atmosfera.Marx, che elaborò la sua teoria nelle condizioni dell'Inghilterra, il paese
più sviluppato dell'epoca, non parlò della necessità di una alleanza operaio-contadina,
né poté allora percepire il colossale problema che sarebbe sopravvenuto
dal mondo coloniale di allora, qualcosa che Lenin, il suo geniale discepolo,seguendo la linea di pensiero del maestro nelle speciali circostanze dell'Impero Russo, scoprì e approfondì dopo.
All'epoca di Marx, che osservava lo sviluppo accelerato della rivoluzione
industriale inglese e l'incipiente industrializzazione della Germania e
della Francia, nessuno sarebbe stato capace di prevedere, a meno che non
avesse assunto un atteggiamento da indovino, il che era ben lungi dal suo
carattere, il ruolo che avrebbero svolto gli Stati Uniti appena 60 anni
dopo la sua morte.


Il 29 gennaio scorso, quando ho parlato in occasione del 150º anniversario
della nascita di José Martí, ho ricordato e analizzato vari discorsi pronunciati
dal Presidente degli Stati Uniti. Questa volta ne citerò solo alcuni paragrafi
che parlano da sé: "utilizzeremo qualunque arma sarà necessaria", "qualunque
nazione, in qualunque luogo, deve adesso prendere una decisione: o è con
noi o è con il terrorismo", "questa è una lotta della civiltà", "le conquiste
dei nostri tempi e la speranza di tutti i tempi dipendono da noi", "e sappiamo
che Dio non è neutrale." [20 settembre 2001]. "La nostra sicurezza richiederà
che trasformiamo la forza militare che voi comanderete in una forza militare
che dev'essere pronta ad attaccare subito in qualsiasi angolo oscuro del
mondo, [...] dobbiamo essere pronti all'attacco preventivo" [...], "dobbiamo
scoprire cellule terroriste in 60 o più paesi", "questo è un conflitto tra
il bene e il male", [discorso per i cadetti in occasione del 200º anniversario
dell'Accademia di West Point, 1º giugno 2002.]. "Gli Stati Uniti chiederanno
al Consiglio di Sicurezza dell'ONU di riunirsi il 5 febbraio per analizzare
i fatti relativi alle sfide lanciate dall'Iraq al mondo", "faremo la consultazione,
ma che non ci siano dei malintesi. Se Saddam Hussein non si disarma interamente,
per la sicurezza del nostro popolo e per la pace del mondo capeggeremo una
coalizione per disarmarlo", "e se ci costringono a fare la guerra, lotteremo
con tutta la potenza delle nostre Forze Armate" [dichiarazione al Congresso,
28 gennaio 2003].
Sebbene il Presidente Bush ha espresso la convinzione secondo cui Dio non
è neutrale, la cosa certa è che il Papa Giovanni Paolo II e quasi tutti
i capi religiosi del mondo sono contrari a questa guerra. Chi interpreta
in realtà la volontà del Signore" Due giorni fa discutevamo in questa sede
quale sarà il futuro dell'umanità. Alcuni domandavano cosa potrà esserci
dopo la globalizzazione, se l'attuale ordine economico mondiale sarà lungo
o breve, quanto durerà il nuovo sistema imperiale. Cercherò, malgrado il
rischio, di improvvisare una risposta alle suddette domande, sulle quali
ho meditato più di una volta. Parto da alcune intime convinzioni, in cui
credo fermamente. Gli uomini non fanno la storia? I fattori soggettivi possono
anticipare o ritardare i grandi avvenimenti anche per periodi relativamente
lunghi, ma non sono il fattore determinante, né possono impedirne l'esito.
Incidenti di grande trascendenza, di origine umana o di origine naturale,
una guerra nucleare, la distruzione accelerata dell'ambiente e il cambiamento
relativamente improvviso del clima, possono alterare tutti i calcoli o previsioni
fatti dai più spiccati talenti della nostra specie. Ambedue le cose si
potrebbero ancora evitare. I fattori oggettivi derivati dallo stesso sviluppo
della società umana sono quelli che determinano gli avvenimenti. L'economia
non è una scienza naturale, non è né può essere esatta; è una scienza sociale.
Concetti e idee, tendenze e leggi nate in un'epoca dentro un sistema economico
e sociale determinato, tendono a perdurare nel tempo anche quando tali sistemi
sono esauriti o scomparsi, il che non poche volte disturba la più corretta
interpretazione degli avvenimenti. L'enorme diversità di opinioni e teorie
che si sentono durante i convegni ed eventi delle scienze sociali ne sono
una prova.


Serviranno di esempio anche gli errori che si commettono in qualunque
processo rivoluzionario profondo. Riguardo alla politica mi pare meglio
dire che è una miscela di scienza e di arte, più di arte che di scienza.
Non deve dimenticarsi mai che sia in un caso che nel altro, la responsabilità
del compito spetta agli esseri umani, ed essi sono tanto diversi e variabili
quanto le particole negli abbinamenti della loro mappa genetica. Dalla storia
si può trarre una lezione su cui sono solito insistere. Solo dalle grandi
crisi sono nate le grandi conclusioni. Ritengo che a questa regola sfuggono
pochissime eccezioni. In questo momento c'è una grande crisi generalizzata
, sia economica che politica. Forse la prima di carattere pienamente globale.
L'ordine economico dominante non è sostenibile né sopportabile. Non c'è
soluzione possibile senza grandi e profondi cambiamenti. Non è necessario
citare troppi dati, che vengono ripetuti qui e in ogni parte, per capire
la realtà. Gli esempi di crisi locali, regionali ed emisferiche che si ripetono
con crescente frequenza lo dimostrano. A esse non possono sfuggire né paesi
poveri né paesi ricchi. Molti partiti sono sprofondati nel più
assoluto scredito. I popoli diventano sempre più ingovernabili. Gli organismi
finanziari internazionali e le istituzioni affini come la WTO o i gruppi
di super ricchi come il G7 non trovano più un posto dove riunirsi. Le organizzazioni
e i movimenti sociali colpiti o sensibilizzati dalla tragedia che vive il
mondo si moltiplicano dappertutto. Le tecnologie moderne hanno reso possibile
la trasmissione di messaggi senza ricorrere all'aiuto dei mezzi tradizionali
di comunicazione. Nonostante gli 800 milioni di analfabeti che esistono
ancora, miliardi di persone in qualche modo hanno accesso a determinate
informazioni e soffrono ogni giorno la disoccupazione, la povertà, la mancanza
di terre, l'insalubrità, l'insicurezza; la mancanza di scuole, di abitazioni,
di condizioni minime d'igiene, di autostima e di riconoscimento sociale.
La stessa pubblicità commerciale consumistica esacerba la consapevolezza
delle proprie carenze e del proprio scoramento. Non c'è modo di continuare
l'inganno sistematico, non è possibile uccidere tutti; sono oltre 6 220
milioni gli abitanti del pianeta, che in un secolo soltanto si sono quadruplicati.
All'esercito di malcontenti del Terzo Mondo si uniscono milioni di lavoratori
istruiti, e uomini e donne dei settori di professionisti e dei ceti medi
dei paesi sviluppati, ogni giorno più preoccupati per il loro destino e
quello dei figli, vedendo avvelenarsi l'aria, le acque, il suolo, le piante,
e scomparire tutto quanto di piacevole li circonda a causa dell'irresponsabilità
e dell'anarchia nell'uso delle risorse naturali. In ogni parte l'esistenza
dei cittadini diventa, sempre di più, una lotta per la sopravvivenza. Che
l'umanità non ha altra alternativa che cambiare rotta è da non dubitare.
Come cambierà? Quali nuove forme di vita politica, economica e sociale si
avranno? Questa è la domanda di più difficile risposta; essa mi conduce
all'ultima idea che voglio esprimere.
In questo processo il fattore soggettivo dovrà svolgere il ruolo più importante,
e per ciò l'uomo dev'essere informato e incoraggiato a pensare. Trasmettere
informazione, stimolare il dibattito, creare coscienza, sarà compito dei
più progrediti. Un esempio incoraggiante relativo ai nuovi metodi di lotta
è stato il Foro Sociale Mondiale di Porto Alegre. Le centomila persone riunite
là per meditare e dibattere hanno mostrato un'immagine delle forze emergenti
e promotrici dei cambiamenti che oggettivamente si impongono nel mondo.
A Cuba questa lotta la chiamiamo Battaglia delle Idee. In essa siamo fortemente
impegnati da tre anni e due mesi. Oltre cento programmi sociali sono nati
da questa lotta, la maggioranza mirati all'educazione, alla cultura generale
e artistica, alla massificazione della conoscenza, a rivoluzionare i sistemi
d'istruzione scolastica, alla divulgazione di concetti sui più svariati
temi politici ed economici, al lavoro sociale, a moltiplicare le possibilità
di realizzare studi superiori, alla ricerca a fondo dei problemi
sociali più sensibili, delle cause e delle soluzioni; al raggiungimento
di una cultura generale integrale, senza la quale il conseguimento di una
laurea non basterebbe a evitare l'essere un analfabeta funzionale.
I nostri piani sono ambiziosi, ma siamo proprio stimolati dai risultati
ottenuti. Malgrado la grande crisi economica che affronta il mondo, il nostro
paese è riuscito a ridurre la disoccupazione al 3,3%; alla fine di quest'anno
speriamo di ridurlo a meno del 3%, così raggiungeremo la condizione di paese
con pieno impiego. Forse la maggiore utilità dei nostri modesti sforzi nella
lotta per un mondo migliore sarà dimostrare quanto si può fare con tanto
poco se tutte le risorse umane e materiali della società si pongono al servizio
del popolo. Né la natura dev'essere distrutta, né le putride e sprecone
società di consumo devono prevalere. C'è un campo dove la produzione di
ricchezze può essere infinita: il campo delle conoscenze, della cultura
e dell'arte in tutte le sue manifestazioni, compresa l'accurata educazione
etica, estetica e solidale, una vita spirituale piena, socialmente, mentalmente
e fisicamente sana; senza tutto ciò non si potrà mai parlare di qualità
di vita. C'è forse qualcosa che ci impedisca il raggiungimento di tali obiettivi?
Vogliamo dimostrare ciò che tutti noi proclamiamo: che un mondo migliore
è possibile! E' giunta l'ora che l'umanità cominci a scrivere la propria
storia! Grazie.

Presidente Fidel Castro.

Unione Comunista
 
La musica che si sente in sottofondo è "LA GUARDIA ROSSA", l'inno nazionale di Unione Comunista
 
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